Il rapporto psicoterapeutico
La spinta primigenia dell’uomo è l’aspirazione alla gioia, l’incontro col dolore è inevitabile.
L’incontro con un Tu unificante permette di perseguire questa aspirazione, l’incontro con un Tu disgregante sostituisce la spinta alla gioia con una abitudine al dolore.
Il dolore può essere positivo (dolore evolutivo che passa e che ha una valenza di speranza e di gioia; “È un dolore giusto, è un’epifania di qualcosa di buono”). Altresì il dolore può essere conseguente alle difese, organizzato e strutturato e non passare (è un dolore che ci difende da un dolore sano evolutivo e che ci impedisce la gioia di una risoluzione). È su questo dolore che agiamo a livello terapeutico.
Questa distinzione è fondamentale per la diagnosi.
In un’ottica di libera professione, la tipologia più frequente di Paziente è quella della persona con disturbi nevrotici che persistono da anni e che in seguito ad un evento precipitante sente la necessità di iniziare un percorso per il manifestarsi di un dolore e un malessere non gestibili autonomamente. Assumendo di poter prendere in carico questa persona, s’ inizia una terapia.
La prima fase della psicoterapia nell’ottica psicosintetica è di tipo materno.
Il terapeuta è accogliente al fine di creare un’alleanza terapeutica ma nello stesso tempo è abbastanza neutro per non interferire con lo sviluppo del transfert. Va ricordato che l’accoglienza materna è di tipo recettivo e non intrusivo. Il ruolo di neutralità non va confuso con il ruolo di passività. La neutralità è una dimensione interiore di centratura del terapeuta che corrisponde alla sua sub-personalità terapeutica (“Io sono il tuo terapeuta e sono qui per fare il tuo interesse. Sono disidentificato dal mio contro-transfert qualunque esso sia e sono qui pulito a lavorare per te”).
Il terapeuta è un alleato che si muove a partire dalla sua neutralità e che ha anche la funzione di allenatore delle competenze che il paziente non ha e che vanno coltivate.
Nella prima fase viene anche elaborato un piano terapeutico. Il piano terapeutico operativo è immediato ed è quello che permette di mettere in moto la terapia (setting, diagnosi, inquadramento). Il piano terapeutico vero e proprio viene strutturato pian piano e corrisponde al processo terapeutico di “quel” paziente (frequenza delle sedute, punti cruciali del paziente, tecniche utilizzabili, tariffario…) che può essere condiviso o programmato col paziente e può essere modificato nel tempo.
Il paziente si presenta in prima seduta già con il suo transfert. Con l’andare avanti della terapia questo transfert s’infittisce ma più il paziente è grave più questo transfert è intenso da subito.
Va valutato quanto c’è di relazione di transfert e quanto c’è di relazione specifica, cioè di rapporto reale. La gravità del disturbo fa propendere verso lo sbilanciamento dell’equilibrio dei due tipi di relazione in favore di quella transferale. La congruità della relazione da una garanzia della sua realtà.
L’obiettivo è far sì che la relazione transferale sia compresa e risolta nella relazione terapeutica specifica reale.
Il terapeuta nella relazione terapeutica ha la funzione del Tu unificante.
Con l’evolversi della terapia il paziente matura. Per la psicosintesi inizia lentamente quello che Assagioli chiama il rapporto umano alla pari, quella relazione nella quale il paziente inizia a vedere il terapeuta non più solo come una guida ma come una persona a sé stante (lo stesso procedimento avviene con le figure genitoriali). Elementi preziosi che compaiono in seduta tipo dottoressa lei come sta? Lei cosa ne pensa? (in un’ottica di confronto).
Nel momento in cui il rapporto diventa più intimo, l’affetto e l’interesse sincero diventano reciproci inizia la separazione.
Il rapporto non deve mai andare oltre, non deve mai degradare nell’amicizia, deve rimanere sempre ad alto livello. Il terapeuta rimane sempre nel suo ruolo nella relazione specifica e a questo punto dovrà guidare la risoluzione del rapporto.
In fase di risoluzione possono manifestarsi nel paziente momenti di regressione, ritorno della sintomatologia, incapacità di rinunciare alla relazione.
La solidità del rapporto terapeutico non inficiato permette il superamento di questi momenti in vista della fine del rapporto terapeutico.
Una volta concluso il rapporto terapeutico questo può evolversi in rapporto di collaborazione o amicizia.
Essere modello
L’essere modello del terapeuta e il suo essere guida vanno intesi non come un sostituirsi all’individualità del paziente ma come essere accompagnatore e guida in direzione della crescita personale, supporto nell’attraversamento della sofferenza e collaboratore nell’evolversi della relazione terapeutica.
Riassumendo ci sono 4 tipi di relazione terapeutica:
- Relazione transferale
- Relazione specifica
- Relazione alla pari
- Soluzione del rapporto
Bibliografia:
Lezioni di assagioli su Jung e la psicosintesi (seconda), 1966
Alberti “L’uomo che soffre, l’uomo che cura”, 112-158
Rivista di psicosintesi anno 4 num. 7 2003, Favero, Il rapporto terapeutico
Autori vari, Il piano terapeutico, rivista num. 20