La valutazione e il trattamento delle competenze genitoriali
Quando parliamo di genitorialità il primo punto che si pone è quello della definizione.
Diversi autori ne hanno dato diverse definizioni, quella concordata dall’ordine degli psicologi della regione Emilia Romagna è la seguente:
Funzione processuale composita, risultato dell’interazione fantasmatica e reale fra quel particolare figlio con bisogni specifici legati all’età e quel genitore, diversa in ogni momento della vita seppure con una sua stabilità di fondo. Essa ha a che fare quindi non solo con l’osservazione del qui ed ora della relazione che il genitore ha costruito con il figlio ma anche con l’infanzia del genitore stesso e quindi con le influenze età e generazioni.
Non si deve confondere il profilo di personalità con la genitorialità.
L’assetto di personalità influisce significativamente nel modo in cui una persona esprime la propria genitorialità però la competenza genitoriale è qualcosa di diverso dal profilo di personalità.
I complessi criteri utilizzati per la valutazione delle condizioni di pregiudizio del minore sono collegati in letteratura:
a) al maltrattamento fisico, alla trascuratezza, al maltrattamento psicologico;
b) all’abuso sessuale;
c) al rapporto tra psicopatologia e violenza subita durante l’infanzia;
d) alla patologia psichiatrica, alla devianza, alla tossicodipendenza e all’alcolismo del/dei genitori;
e) più recentemente, ai fattori che influenzano gli esiti evolutivi nella violenza assistita familiare.
Criteri da valutare nell’intervento:
- Come sta il bambino
- Condizione di difficoltà (danno) del bimbo ad oggi e in prospettiva futura
- Rischio potenziale per il bimbo
- Capacità dei genitori di essere protettivi
- Livello di consapevolezza e collaborazione
- Storia degli interventi attivati in passato
- Tipologia delle difficoltà dei figli
Intervento coattivo: va inteso come sostitutivo della potestà genitoriale. L’attività giudiziaria interviene laddove i genitori non provvedono più a garantire adeguatamente al bambino o all’adolescente un contesto di crescita e relazione adeguati.
La valutazione non è una diagnosi, è un processo dinamico in cui chi valuta interagisce attivamente con i genitori. Può avvenire in un contesto spontaneo o obbligato.
Il lavoro di valutazione si articola in diverse aree specifiche che sono quelle che corrispondono ai fattori significativi nel determinare la competenza genitoriale.
L’obiettivo è quello di dare un senso alla situazione attuale cercando la reale motivazione e le radici di quelli che sono gli schemi comportamentali da correggere.
Va ricostruita la storia personale dei genitori e il loro sviluppo emotivo e psicologico.
Le persone che hanno problemi con la loro genitorialità spesso hanno vissuto esperienze negative e spesso ne hanno anche una scarsa consapevolezza cognitiva ed emotiva e quindi questi vissuti agiscono al di fuori del loro controllo per mancanza di integrazione dei contenuti.
Rimettere insieme i pezzi, dare coerenza e senso consente alla persona di essere più armonica interiormente e di funzionare in maniera migliore.
Quando parliamo invece dell’assunzione del ruolo genitoriale ci riferiamo alla decisione di avere dei figli, a come è andata la gravidanza, il parto, la crescita del figlio, la co-genitorialità e il ruolo delle famiglie di origine.
Anche in questo caso il lavoro in caso di problematiche va impostato sia sul piano storico degli eventi che sul piano dei contenuti degli eventi stessi.
Le modalità di lavoro possono essere diverse: sedute individuali dei genitori, sedute di coppia, sedute di osservazione della relazione genitori-figli, sedute singole con i figli, etc. tenendo ovviamente in considerazione l’età dei figli.
Le informazioni che si raccolgono non devono essere solo quelle che originano dall’osservazione, queste vanno assolutamente integrate con osservazioni di altri contesti, la genitorialità va inserita e valutata in un contesto psico-sociale concreto. Si lavora in una logica di rete connessa.
Dobbiamo ricordare che il lavoro personale individuale del genitore, soprattutto quando è volto al superamento di problematiche gravi quali tossicodipendenza o alcolismo, non corrisponde ad un lavoro sulla genitorialità.
Nel percorso di sostegno del disagio familiare non va trascurata la necessità di essere chiari con i minori, evitando bugie ma cercando delle formule edulcorate per far sì che comunque il bambino abbia una visione realistica della situazione (per esempio la mamma in carcere non è partita per un viaggio ma deve rimanere in quella casa per un po’ perché ha fatto delle cose che non vanno fatte e deve chiedere scusa).
Affido e adozione
Le caratteristiche principali dell’affidamento sono:
- La temporaneità.
L’affidamento può essere disposto per periodi brevi, medi o lunghi, in base alle esigenze del minore, alle caratteristiche delle relazioni familiari e alle motivazioni che hanno generato l’affidamento. Comunque l’affidamento, come previsto nella L.149/2001, non può avere un durata superiore a 24 mesi; l’affidamento può essere prorogato soltanto con l’intervento del Tribunale per i Minorenni e qualora la sua sospensione rechi pregiudizio al minore. - Il mantenimento dei rapporti con la famiglia d’origine.
Non bisogna mai dimenticare che il fine ultimo dell’affidamento è il rientro del minore nella famiglia naturale, una volta che questa abbia superato i problemi che ne hanno determinato l’allontanamento. Pertanto agevolare i rapporti del minore con la famiglia d’origine può renderne meno traumatico il reinserimento. - La duttilità.
Si può aiutare un bambino/a o un ragazzo/a accogliendolo a tempo pieno, ma anche a tempo parziale, condividendo con lui alcune ore al giorno, i fine settimana o le vacanze.
Differenza tra affido e adozione
L’affidamento familiare si realizza quando è stato accertato una situazione di temporaneo disagio e si conclude nel momento in cui le cause che lo hanno determinato si sono risolte e quindi il minore può rientrare nel suo nucleo di origine.
L’adozione invece si realizza quando è stato accertato una condizione di abbandono “morale e materiale” irreversibile per il bambino e quindi viene disposto in modo permanente il suo inserimento presso un nucleo familiare.
Le principali differenze tra adozione e affidamento sono:
- l’affidamento è un provvedimento temporaneo, mentre l’adozione è definitiva.
- l’affidamento prevede che il minore mantenga rapporti con la famiglia d’origine, mentre con l’adozione cessa ogni rapporto tra minore e famiglia d’origine.
- nell’affidamento non cambia la natura giuridica tra il minore e i genitori naturali; nell’adozione il minore diviene a tutti gli effetti figlio della coppia che lo adotta, acquisendone anche il cognome.
- per essere affidatario non occorre essere in possesso di particolari requisiti, mentre per essere genitori adottivi occorre essere in possesso dei requisiti indicati dalla normativa vigente (ex. matrimonio, età, ecc.).